Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e oggettivo

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Essere licenziati è una situazione in cui nessuno di noi vorrebbe mai trovarsi eppure il licenziamento è un’azione che il datore di lavoro può utilizzare in determinate situazioni.


Vi sono due casi in cui il dipendente può essere licenziato senza che questi possa rivalersi sul proprio datore di lavoro; stiamo parlando del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e del licenziamento giustificato motivo soggettivo. Si tratta di due situazioni molto simili ma con due sostanziali differenze: una è la motivazione, mentre l’altra è il tempo di preavviso, previsto nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.


Soprattutto nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la situazione va vagliata attentamente; come vedremo, il datore di lavoro in caso di licenziamento dovrà dimostrare che il dipendente in questione abbia avuto un comportamento talmente grave da compromettere il rapporto di fiducia che dovrebbe sempre intercorrere tra datore di lavoro e dipendente. Quando vi sono tutte le condizioni, il titolare quindi può licenziare per giusta causa senza che il dipendente possa in alcun modo rivalersi.


Nel caso del licenziamento per giusto motivo, il datore di lavoro dovrà dimostrare che le condizioni aziendali non permettono più di mantenere tutte le risorse e, quindi,  per la sopravvivenza dell’azienda stessa dovrà licenziare.  

La normativa di riferimento

A regolare il licenziamento è l’articolo 2119 del Codice civile:

 

"Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell'insolvenza".

 

Se si parla di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, l’articolo fa le opportune distinzioni tra contratto a tempo determinato e contratto a tempo indeterminato. Nel primo caso il contratto può quindi essere risolto prima della scadenza senza dare preavviso, con un licenziamento che ha effetto immediato. Nel caso del contratto a tempo indeterminato, il datore di lavoro può licenziare anche senza preavviso. In entrambi i casi al dipendente spetta l'indennità di disoccupazione, ovvero la NASPI, l’indennità che spetta ai lavoratori, in possesso di determinati requisiti, in caso di perdita involontaria del lavoro, anche nel caso in cui il licenziamento è avvenuto per giusta causa.
Notiamo come il licenziamento per giusta causa si caratterizzi per la mancanza dell’obbligo di preavviso. Ciò è possibile proprio perché la causa del licenziamento non consente, neanche in modo provvisorio, di poter proseguire con il rapporto di lavoro.
Proprio la mancanza di preavviso è la caratteristica che differenzia il licenziamento per giusta causa dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In quest’ultimo caso, in cui le ragioni non vanno imputate al dipendente ma all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, è necessario che il titolare comunichi al dipendente la decisione presa rispettando il preavviso indicato sul contratto

 

Quando può avvenire il licenziamento per giustificato motivo

Come già detto, il licenziamento per giustificato motivo può avvenire in due circostanze.
In particolare, si parla di giustificato motivo oggettivo quando vi siano effettive esigenze aziendali, come ad esempio un calo del lavoro, che determinano il recesso dal contratto di lavoro di un dipendente; è fondamentale che il posto di lavoro che viene soppresso sia direttamente legato al settore di produzione che ha subito il calo di lavoro. Inoltre, per essere effettivo, non vi deve essere la possibilità di ricollocare il dipendente in altra mansione compatibile con la posizione occupata fino a quel momento.
Per quanto riguarda il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, come già detto, si tratta di comportamenti che vanno a ledere il rapporto di fiducia che intercorre tra il datore di lavoro e il dipendente. Un esempio è se il dipendente inizia un’attività di concorrenza, andando quindi a danneggiare l’azienda per cui lavora; un altro esempio possono essere comportamenti di insubordinazione o produzione di falsi certificati medici per giustificare un’assenza sul lavoro facendola passare per malattia.
È opportuno specificare che dietro una condotta scorretta non deve per forza esserci la deliberata volontà di danneggiare l’azienda; il licenziamento per giusta causa, o giustificato motivo soggettivo che dir si voglia, può quindi avvenire a causa di una condotta colposa, ovvero senza la reale intenzione di danneggiare l’azienda. Vediamo qui di seguito alcuni esempi pratici di condotta scorretta del dipendente nei confronti dell’azienda per cui lavora. 

Il dipendente può impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo?

Chiaramente devono sussistere tutti gli elementi affinché il licenziamento, sia che si tratti di giustificato motivo soggettivo, sia che si tratti di giustificato motivo oggettivo, sia valido; inoltre il dipendente, qualora dovesse ritenere illegittimo il licenziamento, può intervenire approntando la sua difesa.
Se, infatti, da un lato il datore di lavoro può avvalersi dell’apposita normativa, è anche vero che il dipendente può a sua volta far valere i suoi diritti.

 

Per poter attuare un licenziamento per giustificato motivo vi è uno specifico iter da seguire e non deve mancare la specifica contestazione al lavoratore, così da mettere alla luce le reali responsabilità del dipendente, o le reali esigenze aziendali. 

Casi particolari di licenziamento per giustificato motivo soggettivo

La normativa che regola i contratti di lavoro è stata oggetto di numerose riforme. Proprio in caso di licenziamenti per giusta causa, è necessario fare distinzione tra i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015 e i dipendenti assunti dopo tale data.
Se, infatti, il lavoratore è stato assunto prima, è necessario fare un’ulteriore distinzione tra aziende con più di 60 dipendenti ed aziende che ne hanno meno di 60.
Se il licenziamento dovesse risultare illegittimo e l’azienda ha un numero di dipendenti superiori a 60, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il dipendente licenziato. Ma quando il licenziamento risulta illegittimo? Ovviamente nel caso in cui il fatto non sussiste o quando vi è effettivamente stata una condotta scorretta da parte di un dipendente ma per cui è prevista una sanzione piuttosto che il licenziamento.
Se, invece, l’azienda ha meno di 60 dipendenti e il licenziamento risulta essere illegittimo, il datore di lavoro non è obbligato a reintegrare il dipendente ma solo a versare un indennizzo economico.
La situazione è invece diversa per coloro che sono stati assunti a tempo indeterminato dopo l’ultima riforma del 2015. In questo caso, infatti, anche per le aziende con un numero di dipendenti superiore a 60, scompare per il datore di lavoro l’obbligo di reintegrare il dipendente qualora questi abbia tenuto una condotta punibile con una sanzione piuttosto che con il licenziamento. In definitiva, il datore è tenuto a reintegrare il dipendente solo ed esclusivamente se il fatto che ha causato il licenziamento non sussiste.

 


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